Il libro _____________
“Iperidentità”, il nuovo saggio di Elena Croci (Franco Angeli Editore), racconta la nascita e gli effetti di questa iper-estensione del sè dovuto all’accavallarsi di vita reale e vita sui social che coinvolge più o meno tutto noi e del potere benefico della tecnologia. L’iperidentità è quindi una sorta di ponte tra ciascuno di noi e il mondo che ci circonda, un ulteriore strumento per facilitare la relazione.
L’autrice in questo saggio compie un excursus storico sull’evoluzione dell’identità, che nel tempo si è sempre più espansa estendendola al territorio e agli oggetti, in rapporto anche con i cinque sensi. Poi dall’osservazione della tecnologia e dei social media visti come parte integrante della nostra vita, la Croci individua i cambiamenti epocali in atto e i modi in cui la tecnologia possa offrire una nuova dimensione di benessere. La parte finale del saggio è tutta dedicata agli effetti che questa iperidentità ha sul marketing dei brand che oggi sono obbligati ad avere una visione sul mondo.
Il giudizio ___________
Si tratta di un breve saggio che riflette sulla contemporaneità, partendo da note antropologiche per poi andare in verticale su come si devono comportare aziende e brand per intercettare queste nuove identità allargate. In un mondo in cui la mobilità senza confini (sia fisica sia di accesso) è diventata un elemento centrale, in cui si è formato un “nuovo sguardo” fluido, senza frontiere e alla ricerca di benessere, ecco che anche le aziende devono andare oltre il concetto del marketing kotleriano sul soddisfacimento di un bisogno, per comunicare, condividere e praticare il loro modo di pensare e stare nel mondo.
È sicuramente un tema attuale e che ritroviamo in vari titoli analizzati qui su L&R e questo lo rende una lettura piacevole da cui trarne interessanti riflessioni. L’autrice considera la tecnologia una ragione di benessere e quindi c’è di base un ottimismo di fondo che se da una parte ci fa ben sperare per il futuro, dall’altre tende un po’ a mettere da parte una visione critica della complessità che dovrebbe essere alla base anche di un percorso evolutivo e di un “pensiero rizomatico di speranza”, come lo definisce l’autrice.