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La Scienza dello Storytelling

Perché oggi è sempre più importante trattare la narrazione nella sua dimensione scientifica e legata al cervello piuttosto che puramente emozionale e incantatrice.

Diciamoci la verità, molti di noi quando sentono pronunciare la parola storytelling mettono, come si suol dire, mano alla pistola – succede anche con altri termini come resilienza o purpose. Si tratta in effetti di parole importanti per il nostro vivere contemporaneo che, proprio per la loro rilevanza, vengono spesso utilizzate a sproposito, caricandole di valori fuori portata o fuori luogo, con l’alto rischio di diventare insopportabili. Oggi parliamo di storytelling perché, volenti o nolenti, rappresenta ancora oggi un concetto indispensabile per il nostro vivere, lavorare ed essere. Piccola parentesi: mentre stavamo preparando questo articolo, si sono diffuse una paio di notizie che hanno rimesso in moto al centro il senso dello storytelling, il suo utilizzo corretto e quello totalmente incontrollato. Ma ne parliamo più avanti.

Storie per il cervello

Qui vogliamo provare a sfatare il mito dello storytelling per come è stato trattato e praticato in questi ultimi anni, ovvero come scorciatoia e come trucco creativo, specialmente in campo economico, commerciale e informativo. Per questo pensiamo sia necessario ridare alla narrazione, dignità e disciplina: questo significa non solo seguire delle regole precise, ma proprio una scientificità. Ci viene in soccorso questo libro del giornalista, saggista (e anche romanziere) Will Storr che ha scritto questo libro dal titolo, per l’appunto, “La scienza dello storytelling – Come le storie incantano il cervello” tradotto ed edito da Codice Edizioni.
Si tratta di un titolo davvero completo – un po’ libro di psicologia, un po’ guida pratica – che analizza l’antica arte della narrazione attraverso quello che sappiamo oggi su ciò che cattura l’attenzione, quello che respinge o intriga la mente e ciò che la fa ragionare. In fondo le storie sono, come dice Storr, delle macchine ordinatrici e sensoriali che aiutano il nostro cervello a trasformare la frenetica incoerenza dell’esistenza caotica in narrazioni comprensibili. Detto in altri termini: secondo Storr la vita non ha molto senso e quindi il nostro cervello ha continuo bisogno delle storie per avere un senso di controllo sulle cose, ed è proprio per questo, secondo l’autore, il motivo per cui i nostri cervelli si eccitano di fronte a quelle storie dove vi è un cambiamento: uno sconosciuto dal passato ignoto che arriva in città, una donna che entra nella vita di una tranquilla famiglia, il vecchio ordine che mostra segni di fragilità.

Oltre il viaggio dell’eroe

Il volume di Storr non è il solito libro di scrittura creativa per quelli che vogliono imparare a scrivere un romanzo: ne “La scienza dello storytelling” riconoscendo che le storie e i romanzi rispondono a profondi impulsi psicologici, l’autore mette insieme concetti di neuroscienza e psicologia per capire come è possibile afferrare e mantenere l’attenzione del cervello degli altri. Lo fa attraverso molti esempi presi della cultura alta e bassa – da “Mrs Dalloway” di Virginia Woolf al film “Gone Girl” di Fincher, dalla serie tv “Transparent” al videogioco “Fortnite” – illustrando come queste storie attivino meccanismi di ricompensa del cervello e come noi attingiamo a modelli neurali per popolare i mondi delle storie che leggiamo: ad esempio si parla molto dei cosiddetti “movimenti saccadici” ovvero quelli velocissimi e microscopici che compiono i nostri occhi durante l’elaborazione delle informazioni. E poi ci sono mille categorie e momenti all’interno della storia che vanno oltre il classico e celebre “viaggio dell’eroe”, come ad esempi le “rivendicazioni di identità” o i “regolatori dei sentimenti” fino all’ “approccio del difetto sacro” che l’autore spiega nell’appendice e che rappresenta la parte pratica del saggio.
Insomma, si tratta di un libro che va oltre rispetto ad altri titoli sul tema come ad esempio “L’istinto di narrare: Come le storie ci hanno reso umani” di Jonathan Gottschall oppure lo specifico saggio di Frank Rose “Immersi nelle storie. Il mestiere di raccontare nell’era di internet”, perché qui il focus è proprio quella della teoria del controllo esercitata dal nostro cervello attraverso le storie che vengono raccontate, che poi scatenano tutti quelle dinamiche di risonanza e riconoscenza che abbiamo imparato a conoscere.

Non solo emozione e incanto

C’è invece molto altra saggistica per così dire “funzionale” (pubblicità e comunicazione commerciale in primis) che in questi anni ha utilizzato l’arma della narrazione esclusivamente per incantare, giocando tutto sull’emozione diretta e spesso facile, talvolta senza riconoscere che si può arrivare a risultati più duraturi, rilevanti ed efficaci giocando sui meccanismi di rigore scientifico che il saggio espone.
Attenzione, perché il libro non parla solo di romanzi e sceneggiature, ma rivendica la forza e la potenza narrativa anche di singole frasi come “Mi piace l’odore di napalm al mattino” o “Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più” che concentrano un’intera storia in una manciata di parole. Questo fa intendere come anche la pubblicità, in tutte le sue varie forme, deve obbedire a certe regole dello storytelling.
A proposito di pubblicità. Come si citava all’inizio dell’articolo, durante la scrittura sono emerse un paio di notizie che hanno ritirato fuori il tema dello storytelling, come ad esempio la comunicazione de La Molisana, pastificio italiano che nel presentare i nuovi formati di pasta, tra cui le Tripoline e le Abissine, volte a celebrare la stagione del colonialismo parlavano di “formati dal nome che è già storytelling”, riducendo una trovata già discutibile in una piattezza senza speranza.
Un esempio invece piuttosto positivo di come riuscire a raccontare con abilità fatti accaduti piuttosto complessi senza ricorrere alla voce narrante, e quindi a un indirizzamento diretto della narrazione, ma solo attraverso quella dei protagonisti, è la docuserie “SanPa” disponibile su Netflix, sulla storia della comunità di San Patrignano e soprattutto del suo fondatore Vincenzo Muccioli fino alla sua morte. Dopo aver letto il libro ritroverete facilmente snodi, caratteri e meccanismi che vengono spiegati.

Se ancora non siete convinti dell’importanza che riveste oggi lo storytelling e l’importanza di conoscere perfettamente le regole attraverso cui si muove, le opportunità e i rischi, vi consigliamo anche la lettura di “Economia e Narrazioni – Come le storie diventano virali e guidano i grandi eventi economici” (appena uscito per Franco Angeli) scritto dal Premio Nobel per l’Economia Robert J Shiller (colui che anticipò la crisi dei subprime del 2007) e che tratteremo singolarmente nei prossimi mesi.

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