Quando si parla in Italia di consumi, marketing, pubblicità e degli effetti che questi hanno sulla società, si fa sempre riferimento ai soliti tre-quattro imprenditori illuminati, manager e un paio di pubblicitari che negli anni 80 hanno saputo interpretare e sintetizzare lo spirito del tempo.
È molto raro però che si faccia riferimento a chi invece questi temi li ha saputi osservare, analizzare e raccontare nel corso di quasi quattro decenni, contribuendo attraverso le proprie ricerche, i saggi, gli editoriali e rubriche sui giornali a narrare e interpretarne le evoluzioni.
Stiamo parlando di Giampaolo Fabris – sociologo dei consumi, consulente, ricercatore, accademico e saggista – scomparso nel 2010 e a cui è stato dedicato un doveroso volume dal titolo “Società, consumi e pubblicità – Il pensiero di Giampaolo Fabris” (Franco Angeli) a cura di Maria Angela Polesana: il libro contiene cinque saggi brevi su Fabris e sulle sue varie anime scritti da un gruppo di studiosi che si sono formati collaborando con Fabris per molti anni, sviluppando anche un rapporto umano che è andato al di là dell’esperienza lavorativa.
Le mille facce di Fabris
Nato a Livorno, ma milanese a tutti gli effetti, Fabris dopo aver lavorato negli anni ’60 prima in Doxa e poi in Demoskopea, negli anni ’70 inizia una lunga carriera che lo vede protagonista della scena milanese (Presidente per un quinquennio della Triennale), lo porta a scrivere saggi seminali (“Sociologia dei consumi” – 1971), occuparsi per primo in Italia di consumi e marchi da un punto di visto semiotico in ambito accademico in un mondo intellettuale profondamente influenzato dalla critica marxista; è stato poi docente nelle principali università italiane, fondatore del primo corso di laurea sulla comunicazione d’impresa allo IULM e alla guida di una propria società di ricerca e di consulenza “GPF & Associati” che ha contribuito allo sviluppo del branding di molte aziende italiane.
Il libro, attraverso i cinque saggi brevi, racconta tutti gli aspetti dell’attività di Fabris a partire dai suoi studi fino alle metodologia delle proprie ricerche passando in rassegna anche i principali temi delle sue analisi, dallo studio del consumatore ai valori della pubblicità.
Proviamo a passare in rassegna tutti questi aspetti che emergono dal libro, con qualche aggiunta del sottoscritto degli ultimi 25 anni di attività del sociologo attraverso la lettura e l’analisi dei suoi scritti su Il Sole 24 Ore (dal 1995 al 2001) e su Affari & Finanza de La Repubblica (dal 2005 al 2010 in cui il sociologo aveva una rubrica settimanale dal titolo “Consumi”).
La ricerca per comprendere consumi e società
Il primo saggio breve scritto da Vanni Codeluppi passa in rassegna le varie metodologie usate da Fabris nel corso della sua carriera da ricercatore, a partire dalla ricerca VALS (Value and Life Styles) che fu messa a punto da Arnold Mitchell presso l’Università di Stanford in California. La metodologia si basava sulla teoria di Maslow (quello della piramide dei bisogni) secondo cui i comportamenti degli individui sono guidati da una molteplicità di fattori di diversa natura, ma in ogni momento esiste sempre una motivazione dominante relativa a un bisogno che prevale sulle altre. Un modello piuttosto rigido e semplicistico ma che, nella sua evoluzione si agganciò a due importante concetti teorici, ovvero quello delle tendenze sociali e degli stili di vita. Facendo proprio ricorso a questi elementi si sviluppò la ricerca 3SC di De Vulpain che Fabris adattò al contesto italiano trasformandolo negli anni 80 nella “T&T Monitor 3SC” – dove T&T sta per Trends & Targets e 3SC per Sistema di Correnti Socio-Culturali e Scenari di Cambiamento. Questo diventerà lo strumento principale di indagine della GPF & Associati che monitorizza, ogni 18 mesi, la struttura e il cambiamento dei valori, degli stili di vita e dei modelli di consumo nella società italiana. Un modello e un metodo di analisi che, sostiene Codeluppi, ancora oggi sono validi perché le cosiddette “correnti socioculturali” rimangono degli importanti vettori del cambiamento e poi perché la ricerca aveva una solida base antropologica. In pratica la popolazione veniva divisa in otto (e poi in dieci) stili di vita, dai pionieri ai tradizionalisti, passando per gli affluenti, i frugali e i benpensanti.
Negli anni 80 e 90 i volumi della ricerca ebbero così successo da essere presenti nelle scrivanie degli AD delle principali aziende e in quelle dei direttori di giornale. Da questa base si sviluppò anche la ricerca Sinottica di Eurisko dove gli stili di vita divennero quattordici.
Post-crescita, Societing e l’evoluzione del consumatore
I saggi brevi contenuti nel volume “Società, consumi e pubblicità – Il pensiero di Giampaolo Fabris” scritti da Mauro Ferraresi e a da Ariela Mortara affrontano invece il pensiero e le teorie del Fabris sociologo dei consumi, che fu interprete dei cambiamenti delle tendenze sociali. Raccontano anche del progressivo abbandono di certi strumenti – come quelli degli stile di vita – dovuto alla crescente difficoltà a rintracciare le omogeneità di comportamento e di atteggiamento, per elaborare invece nuove teorizzazioni, talvolta molto originali, altre volte meno.
Una delle sue intuizioni più interessanti avviene negli ultimi anni della sua carriera e riguarda l’interpretazione dei postumi della crisi economica del 2008. Mentre tutti parlano di una crisi globale che non cessa di terminare, Fabris sostiene che sono invece cambiati i paradigmi: i consumatori sono diventati più maturi, critici e molto meno fedeli, c’è una profonda mutazione dei media e nella comunicazione e il tema della sostenibilità sta prendendo sempre più piede. In quel periodo si discute sovente di decrescita, ma Fabris non ne è convinto e preferisce invece il termine “post-crescita” ovver una crescita più attenta a certi valori che oggi definiremmo green, accompagnata da una critica amara al mito della crescita non visto più come scopo da raggiungere ma come tragico destino a cui il capitalismo ci sta consegnando.
Tutto questo è raccontato nel suo ultimo libro “La società post-crescita – Consumi e stili di vita” (Egea – 2010) in cui si riconosce che i consumi non sono sinonimo di benessere e l’abbondanza delle scelte non è sinonimo di ricchezza ma, anzi – nota nel suo saggio Ferraresi – i processi di consumo esasperati e le iper-offerte di quel periodo sono ormai fonte di un chiaro disagio. Solo oggi finalmente le aziende, dopo dieci anni, ne hanno preso piena consapevolezza.
Un altro concetto che il sociologo ha fatto suo – ma che era stato introdotto da Bernard Cova nel 2000, purtroppo mai citato da Fabris – è quello di Societing che sta a identificare un marketing sempre più consapevole che comunica non solo al mercato, ma alla società intera, la propria visione del mondo. Quindi nuove consapevolezza delle aziende, ma anche del consumatore che, accanto a fenomeni di iperindividualismo, introduce nuove forme di socialità di consumo alimentate dal web che vengono ampiamente trattate nel suo tomo “Societing, Il marketng della società postmoderna” (2008 – Egea).
Ma è proprio sull’evoluzione della figura del consumatore e sulle nuove accezioni di consumo che si basano gran parte degli studi di Fabris. Un consumatore che diventa sempre più centrale e che muta anche aspetto diventa consum-attore, consum-autore o prosumer, a seconda delle occasioni. Con Fabris il termine consumatore diventa, finalmente, estremamente riduttivo. Anche perché il consumo, nel tempo, è diventata una modalità con cui gli individui affermano la loro identità mutevole e che si adatta allo spirito del tempo. Se è vero che l’epoca della modernità si è concentrata nella produzione, quella della post-modernità (ma anche nell’attuale modernità radicale) ha avuto il suo centro nel consumo e nei suoi molteplici significati.

Pubblicità, moda italiana e la miopia digitale
Gli ultimi due saggi del volume sono scritti da Maria Angela Polesana e da Simona Segre Reinach e sono tematici, rispettivamente, su pubblicità e moda.
Il contributo di Fabris nel mondo pubblicitario è piuttosto rilevante, specialmente negli anni 80 e 90, perché si accorge che l’intuizione creativa del pubblicitario non è più sufficiente, ma è necessario affiancare ad essa la ricerca seria, scientifica, condotta con un rigoroso apparato metodologico. La ratio che stava dietro a tutto questo è che il consumatore è indotto all’acquisto da una molteplicità di bisogni e di motivazioni: Fabris sostiene che la decisione di scelta è il risultato del concorso di una serie di fattori (atteggiamenti, stereotipi, moventi) di cui il soggetto è solo parzialmente cosciente. Quindi è necessario che le pubblicità riflettano lo Zeitgeist e i suoi valori per creare una relazione più profonda e un processo di riconoscimento con i destinatari della comunicazione. Da qui tutta una serie di riflessione sui valori intangibili (1), sul tema dell’autenticità, sulla strategia vincente di quei brand che parlano il linguaggio delle emozioni (2) e soprattutto delle aziende che affrontano nella propria comunicazione il lato etico (2), umanista e sociale che solo in pochi all’epoca utilizzavano.
Simona Segre Reinach, autrice dell’ultimo saggio, ha lavorato con Fabris in GPF & Associati negli anni 80 come antropologa sull’industria della moda. Fabris capì che il made in italy della moda sarebbe diventato un settore strategico per gli studi e le ricerche etnografiche di tipo qualitativo perché aveva caratteristiche uniche nel mondo di dimensione artigianale, impronta familiare e di grande qualità. Gli studi di Fabris furono fondamentali per far crescere all’estero un marchio come Ermenegildo Zegna, lavorando sulla percezione del marchio, come pure per Gft e Max Mara cambiando totalmente il modo di comunicare, ma anche brand più mass market dell’intimo come Lovable e Golden Lady, cataloghi come Vestro e brand di cosmesi come Bottega Verde e Deborah. Nell’ultimo saggio del libro vengono raccontare tutte queste case history.
Sebbene Fabris abbia lavorato e scritto fino agli ultimi giorni prima della morte, che è avvenuta nel 2010, quindi dopo aver vissuto pienamente la transizione e la rivoluzione digitale, non è mai riuscito ad avere un pensiero originale su internet e in generale sul digitale, limitandosi a ripetere le opinioni di altri. Nel libro infatti non se ne parla, ma credo sia corretto anche raccontare certi lati più deboli di una figura che, ripetiamo, è stata fondamentale per lo sviluppo della sociologia dei consumi in Italia.
Leggendo le rubriche e gli articoli che Fabris scrisse su Il Sole 24 ore e Affari & Finanza dal 1995 al 2010, si trovano articoli entusiasti su La Coda Lunga (3), teoria che in gran parte è stata smentita dai fatti, su una visione romantica della rete (4) fuori tempo massimo, quando internet era ancora condivisione, disponibilità a condividere esperienze e non invidia ed egoismo e addirittura uno targato 1999 (5) in cui racconta il dominio prossimo-venturo dell’e-commerce: il pezzo in questione è interessante nella sua ingenuità e nell’errore di previsione, perché Fabris sostiene che il device principale sarà la tv, mentre ora sappiamo che è stato lo smartphone.
Altre riflessioni che non sono trattate sul libro, ad esempio sul tema della mass customization o sul perché della crescita della private label, sono invece molto puntuali e preconizzano scenari che oggi stiamo vivendo.
Michele Boroni
(1) “I valori intangibili rafforzano la marca” – Il Sole 24 Ore – 20 Luglio 1999
(2) “La strategia vincente della marca parla illinguaggio delle emozioni” – Il Sole 24 Ore – 8 Aprile 2001
(3) “Da un mercato di massa a una massa di mercati” – Affari & Finanza – 4 luglio 2007
(4) “La rivoluzione Internet rivaluta il valore del dono e della gratuità” – Affari & Finanza – 12 maggio 2008
(5) “Gli alimentari viaggiano sul web” – Il Sole 24 Ore – 4 maggio 1999