#Datastories è il secondo libro di Alice Avallone che recensiamo qui su Lead & Read. Il precedente People Watching in rete raccontava efficacemente cos’era l’etnografia digitale e si focalizzava sulle principali dinamiche di tipo psicologico e sociologico che si venivano a creare tra le persone in rete e su quali fossero i principali metodi di osservazione.Questo nuovo libro “#datastories” (edito da Hoepli) è un ulteriore passo in avanti e racconta come gli small data – cioè le piccole tracce che noi esseri umani lasciamo più o meno consapevolmente online – possono essere l’elemento giusto per leggere le grandi trasformazioni e le tensioni culturali contemporanee e come quindi queste possono trasformarsi in insight importanti per brand e organizzazioni.
Pur essendo un saggio molto specialistico si legge con grande piacere, perché la scrittura di Alice Avallone è piacevolissima, piena di esempi pratici e gustosi (come ad esempio la lettura degli sfondi delle foto e dei video postati in rete) oltre ad avere un importante intento didattico.
A differenza di altri libri del genere (ad esempio “Small data” di Martin Lindstrom) l’autrice non crea una polarizzazione tra small e big data, ma più semplicemente dice che gli small data sono contenuti all’interno dei big data, cambia solamente l’approccio nell’estrazione e nell’osservazione. I big data danno un’importante mappatura di superficie creando connessioni tra le cose, ma ad arricchire queste macrovisioni sono proprio gli small data che permettono di illuminare le trasformazioni culturali che coinvolgono tutti noi.
Il libro è peraltro impreziosito anche dalle belle illustrazioni di Francesca Tincato.
Anche in questo caso per raccontare il libro e per costruire il databook abbiamo estratto quattro coppie di parole antitetiche. Eccole.

Artigianale /Artificiale
Come dicevamo prima, questa è la principale differenza tra small e big data. La raccolta degli small data deriva dall’osservazione e da un approccio appunto artigianale che quindi ha a che fare con una particolare metodologia ma anche con la preparazione e formazione dell’etnografo digitale che evidentemente deve avere anche un forte preparazione umanistica oltre che conoscenza dell’habitat digitale. Al contrario i big data devono essere gestiti da algoritmi e intelligenza artificiale.
C’è un interessante metafora che usa la Avallone su come “pescare” i dati: i big data sono raccolti con la pesca a strascico, che tira su velocemente tutto quello che trova senza troppa selezione, mentre chi si occupa di small data è come un pescatore che usa attrezzi specifici a seconda del pesce o delle abitudini locali, che ha bisogno di più tempo e che spesso rischia di tornare a mani vuote, ma che privilegia la qualità.
Pregiudizi / Percezioni
L’insight è sicuramente uno degli elementi più importanti per un brand per diventare rilevante agli occhi del proprio pubblico, coinvolgendolo emotivamente. Quindi più singole informazioni un brand ha sul proprio target, più sarà possibile dare vita ha un oggetto narrativo pertinente. Son cinque i livelli di insight culturali: i gesti, le esperienze/ abitudini quotidiane, le credenze/pregiudizi, le emozioni/percezioni e infine le tensioni culturali che fanno capo a una dimensione più collettiva.
Interessante la distinzioni tra tutto il mondo dei pregiudizi (luoghi comuni, tabù, superstizioni) difficili da mettere in discussione e quello più profondo e sfumato delle percezioni e come le reazioni sono differenti a seconda dei caratteri introversi ed estroversi.
Scrittura / Oralità
C’è poi un capitolo che fa un’analisi delle diverse tracce lasciate dalle varie fascie generazionali dalla silent generation (nati dal 1928 al 1945) a quella alfa (nati dal 2010). Al di là delle motivazioni di fondo o dei contenuti che vengono lasciati in rete, si fa anche una riflessione sulle modalità. Un cambio di passo molto importante è quello degli ultimi anni che ha caratterizzato principalmente la cosiddetta Generazione Z (nati tra il 1997 al 2009), ovvero il passaggio da tracce scritte all’uso prevalente di messaggi vocali e cosa tutto questo comporta dal punto di vista sia delle tensioni culturale sia nelle analisi dell’etnografia digitale.
Dati / Storie
In pratica è il grande tema del libro. Grazie all’etnologia digitale attraverso delle osservazioni specifiche si utilizzano le tracce che gli umani lasciano in rete per collegarle intuitivamente ma anche con metodo e attraverso dei punti chiave (insight) creare delle storie in diverse fo
C’è un’intero capitolo (il quinto) che è dedicato proprio a come avviene questo processo, utilizzando vari output e formati di storie: dal classico report “netnografico” al post per un blog, da un articolo a un saggio breve. Questi diversi modi di restituzione che ovviamente hanno una funzione ben specifica a seconda di chi è il committente, fanno anche capire quanto è importante anche una formazione umanistica.