Il libro ___________
Prima di recensire questo saggio (edito da Ledizioni) è necessario fare alcune delucidazioni sul titolo. Con framing si intende l’imposizione dell’angolazione e il taglio che l’industria dei media attribuisce a fatti e notizie pubblicate ed è, nel linguaggio accademico, un passo ulteriore rispetto alla cosiddetta agenda setting, ovvero la capacità del sistema dei media di imporre certi temi piuttosto che altri. In pratica, come spiega il sottotitolo di questo bel saggio di Antonio Pavolini, l’industria dei media usa il framing per fare in modo che i nostri occhi posino su certi luoghi rispetto che su altri, assegnando loro una maggiore rilevanza.
Unframing quindi è la volontà da parte del pubblico di liberarsi da questo condizionamento, nonché l’obiettivo ultimo di questo libro a seguito della profonda analisi di ciò che che sta vivendo l’industria dei media e il suo pubblico, cioè tutti noi.
Pavolini non è nuovo a queste tematiche: cinque anni fa aveva scritto “Oltre il rumore” in cui raccontava il rifiuto aprioristico del sistema dei media tradizionali nei confronti del digitale. Dopo un lustro le cose sono inevitabilmente cambiate: l’industria dei media ha capito che può usare i mezzi digitali per continuare ad esercitare il proprio ruolo, cioè quello di stabilire cosa deve essere rilevante per noi, non per l’interesse pubblico ma, più prosaicamente, per motivi puramente di business, di redditività e di potere.
L’autore racconta molto bene con un ricchissimo ricorso ad esempi, non ultimo anche il modo in cui siamo stati informati sul Covid-19 e sui vari interventi del governo e degli altri enti amministrativi, come avviene il framing da parte del sistema dei media attuale.
Attraverso il gioco delle coppie di parole antinomiche che servono poi a formare il databook ideato da Paolo Iabichino e Giorgia Lupi per Lead & Read, proviamo ad addentrarci meglio in questo bel saggio.

Intermediazione / disintermediazione
Pavolini cita molto spesso il termine “intermediatore culturale”, ovvero il ruolo principale del sistema dei media, riguardo non solo le notizie da conoscere, ma anche i programmi da vedere, la musica da ascoltare, le mostre da visitare. Il web e i social si sono presentati come disintermediatori e hanno di fatto mandato in crisi l’industria dei media tradizionale ma, ci dice l’autore, non è stato rimpiazzato dagli over the top (facebook, twitter, etc..) perché in fondo quest’ultimi non hanno alcuna intenzione di assumersi la responsabilità dell’editore.
Quindi oggi il ruolo dei media è quello di catturare l’attenzione del pubblico, attraverso un certo modo di raccontare le notizie (infotainment) o assoggettarlo a certe dinamiche (clickbaiting) con una logica non di informazione pubblica, ma puramente economica. E’ questo anche il motivo per cui sempre meno oggi sulle testate giornalistiche si trovano i vecchi reportage, che necessitavano anche di due mesi di lavoro, semplicemente perché non sono più sostenibili economicamente.
Trasparenza / Opacità
Dall’altra parte ci sono gli over the top che hanno di fatto un monopolio naturale e che fanno comunque palate di soldi facendo girare i contenuti degli altri. Anche sul loro ruolo Pavolini dedica molte pagine, in particolare sulla creazione del revenue (perché questo è l’aspetto principale trattato in tutto il libro): più gli utenti sono inconsapevoli di come lavorano i meccanismi di funzionamento, quindi più è opaco è l’algoritmo che governa le piattaforme dei vari social network, maggiori saranno i ricavi.
Quindi il tema della trasparenza sia per l’industria dei media sia per quella delle big companies digitali è visto come una minaccia per il conto economico.
Diversità / Omologazione
L’ecosistema dei media metteva originariamente al primo posto il valore della diversità: diversi punti di vista per diversi pubblici, nel nome della pluralità dell’informazione. E’ stato anche – anzi, ancora di più – il principale obiettivo della rete, grazie anche all’impegno di uno dei principali attivisti Aaron Swartz, che Pavolini ricorda in un passaggio del libro. Swartz ha da sempre lottato non solo per la difesa della libertà e dell’accesso in rete (co-creando peraltro le licenze Creative Commons), ma anche per una diversificazione di stili e linguaggi contro l’omologazione dilagante dei vecchi sistema dei media. Purtroppo la deriva verso l’omologazione anche della rete è una realtà sotto gli occhi di tutti .
Anche un certo modo di trattare le notizie da parte dei media tradizionali, enfatizzando la polarizzazione, non fa altro che rendere il framing ancora più tossico delle fake news. Ma finché non ci sarà un nuovo modello economico remunerativo (che in realtà esiste, basta vedere il New York Times) questo purtroppo sarà lo standard.
Attivismo / Passività
Nell’ultima parte del libro Antonio Pavolini dà una serie di suggerimenti per non subire passivamente il flusso dei mezzi di informazioni di massa, ma per poter esercitare un ruolo attivo, che significa in pratica attivare una scelta personalizzata dei contenuti da fruire utilizzando la rete e la tecnologia.
Ovviamente non vi possiamo spoilerare i nove suggerimenti, per non farvi perdere il gusto della scoperta leggendo il libro, sappiate solo che la parola chiave è “invertire il flusso”.